APPLAUSI


Mi sono sempre adeguato alle regole e alle convenzioni che mi hanno insegnato quando sono piombato su questo pianetucolo. Però non sono mai riuscito a zittire quello spirito dentro di me un po’ ribelle che si chiedeva il perché certe cose dovessero essere fatte sempre nello stesso modo. Certe situazioni tutt’ora mi suggeriscono che forse ero proprio destinato a essere un ribelle.
Ma un ragazzo con la DMD (Distrofia muscolare di Duchenne) può effettivamente essere un anticonformista? Eccome se può!
Ecco alcuni esempi:

  • prima di tutto io non do mai la mano a nessuno.
    Quando qualcuno vuole fare la mia conoscenza allunga la mano in attesa che io ricambi il saluto, ma io non mi sposto di un centimetro, lo guardo dritto negli occhi con aria di sfida fino a quando desiste e abbassa la mano.
  • Secondo atto ribelle. Chi va in giro con me lo sa bene: io non applaudo mai.
    Le occasioni possono essere molteplici. Un bel discorso, un concerto o qualcuno che semplicemente suona qualcosa, una partita di basket e via dicendo. Io sarò sempre la voce fuori dal coro che non darà soddisfazione nel far sentire le sue mani che battono una contro l’altra. Nello scroscio di applausi ci sarà qualcuno che rimarrà immobile e con lo sguardo fiero e quel qualcuno sarò io. Se non è da ribelli questo.

Non a caso ho nominato prima una partita di basket. Infatti ci ho presenziato recentemente e si può dire che abbia dato il meglio di me dal punto di vista dell’anticonformismo. Innanzitutto non potete immaginare la soddisfazione di essere l’unico in carrozzina allo stadio, in questo modo non c’era nessuno che potesse concorrere per rubarmi la scena.
Quando ho fatto la mia entrata trionfale nell’arena infatti, avevo un sacco di sguardi addosso. Ero in carrozzina elettrica per giunta, quindi ancora meglio. D’altronde i normodotati solitamente ignorano gli altri normodotati, ma non i disabili.
Ovviamente quando la squadra di basket del Mantova ha vinto non ho applaudito. Forse qualcuno vedendomi poteva pensare che in realtà facessi il tifo per gli avversari, ecco il motivo della mia immobilità; oppure potrebbero aver dato la spiegazione standard: fa così perché è incazzato con il mondo per essere sulla carrozzina. È risaputo che noi disabili siamo un po’ tutti arrabbiati per questo motivo. In realtà il vero motivo era sempre lo stesso: ribelle dalla punta dei capelli ai pedali della carrozzina. Il momento clou della partita è arrivato quando il cronista ha detto “tutti in piedi per la Pompea Mantova!”. E secondo voi io mi sono alzato? Assolutamente no! D’altronde non mi andava proprio.
Ma il mio spirito ribelle non si è fermato qui. Al termine della partita i vittoriosi giocatori del Mantova passavano a bordo campo per farsi dare un cinque a due mani dai tifosi più intimi diciamo. Anch’io ero a bordo campo per via della mia ineguagliabile importanza. Ho visto i giocatori che mi guardavano e che probabilmente pensavano: “È arrivato qui carrozzamunito sarà in grado anche di alzare le braccia per il cinque”. E invece niente. Sguardo fisso e le mie braccia sono rimaste giù. E dopo aver notato una leggera delusione sulle loro facce, alcuni di loro hanno poi optato per il tocco amichevole sulla mia spalla. Ammetto che mi sia balenata per un momento l’idea di festeggiare in un modo alternativo la vittoria facendo una piroetta in velocità massima con la carrozzina elettrica o basculando tutta la carrozzina mettendo i piedi in aria. Ma ci ho poi repentinamente rinunciato. Non volevo infatti dare alcuna soddisfazione.
Fino a qui ho parlato di episodi abbastanza tranquilli, ma c’è stato anche un momento in cui il mio spirito ribelle mi ha portato a fare qualche danno. Dobbiamo però tornare indietro di qualche tempo perché questo episodio è accaduto durante la mia adolescenza. Ero in vacanza in montagna e mi ero portato la mia carrozzina elettrica di allora. Un modello più antiquato senza dubbio, ma comunque funzionante. Giravo da solo per il paese quando all’improvviso di fronte a me trovai una coppia di anziani. Erano piuttosto lenti e mi decisi a superarli a sinistra con il mio bolide. Nel mentre lo facevo affiancandomi a loro, la signora si girò verso di me e la mia ruota le passò direttamente sopra il piede. La poveretta emise un grido. Io mi bloccai e nonostante avessi pensato alla fuga in stile pirata disabile della strada, mi scusai immediatamente con la signora. D’altronde non volevo essere perseguito per omissione di soccorso. Il marito lì a fianco diede immediatamente la colpa alla moglie dicendo che doveva stare più attenta. Poteva secondo voi dare la colpa al ragazzo disabile? Assolutamente no. D’altro canto lo sanno tutti che queste quattro ruote ci fanno diventare intoccabili. L’anziana signora mi sorrise, ma ci giurerei che stava trattenendo lacrime di dolore. Se già aveva un principio di osteoporosi immaginavo il suo piede con lo spessore di una piadina dopo il passaggio obbligato sotto la mia carrozzina. Comunque dopo aver constatato che poteva camminare ancora (anche se sicuramente più lenta ancora di prima), dispiaciuto continuai per la mia strada.
In conclusione, ironia a parte, che messaggio voglio dare a fronte di tutto questo discorso? Che per essere ribelli bisogna pestare i piedi alle vecchiette? Assolutamente no, ci mancherebbe. Noi disabili per forza di cose siamo costretti a fare cose diverse da tutti gli altri. La nostra vita stessa è un po’ diversa da quella dei bipedi, è ovvio. E questo può essere fonte a volte di grande dispiacere e di un grande senso di inadeguatezza. Ci sta provare anche questo, ma non può e non deve essere sempre così. A volte mi chiedo se noi quadriruota possiamo essere qui proprio per questo. Per mostrare che la bellezza molte volte si può trovare nascosta anche in quelle cose diverse, particolari, un po’ strane che non siamo così abituati a vedere. Che queste idee fisse che sembrano esserci su quello che la vita deve essere per essere degna e che vada fatto così perché lo fanno tutti, non abbiano fatto altro che incatenarci in una spirale che non può portare altro che insoddisfazione. Allo scopo di placare questa insoddisfazione viene naturale che all’esterno ci presentino miliardi di cose di cui dovremmo aver bisogno. Però a pensarci bene, forse non lo sappiamo nemmeno noi di cosa abbiamo veramente bisogno. Continuerà a essere così se andremo avanti a pensare che quello che veramente ci serve si trovi fuori di noi. Quindi viva i ribelli, gli anticonformisti, quelli che non si accontentano delle spiegazioni che vengono date loro, quelli che provano mille modi diversi di fare le cose, ma che tengono sempre presente che ciò che più conta è essere in pace con sé stessi. Perché se questo mondo talvolta riesce ancora a stupirci è anche merito loro.

Mattia Mutti