Restano per dieci anni nella sede di via Bacchio, non distante da Palazzo Te, in una zona di Mantova ancora spoglia di molti riferimenti moderni come lo stadio Martelli, per il quale la città avrebbe aspettato ancora vent’anni. Il trasferimento di officina e negozio in via Poma avviene nel 1929 e l’azienda prende il nome del suo solo fondatore, nel pieno dell’attività imprenditoriale. La ditta “Emilio Guadagni Officina Protesi” si affermava per qualità e cura dei dettagli, ma soprattutto per la capacità di rendere possibile l’impossibile, di trasformare l’immobilità in movimento, l’instabilità in sicurezza, il pregiudizio in rispetto.
La società di famiglia, così come crebbe e si sviluppò, era e rimane per molti anni, dal 1924 in poi, la quasi miracolosa e decisamente tangibile risposta per invalidi, mutilati e poliomelitici assistiti dall’ONIG (Opera Nazionale per Invalidi di Guerra), Inail, Ministero della Sanità, Enti di Assistenza Comunali, Enti Mutualistici e clienti privati. La sezione provinciale di Cremona dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra – di fatto la prima organizzazione unitaria e totalitaria sorta in Italia, costituita a Milano nel 1917 – il 27 maggio 1941 comunica a Emilio un “meritato elogio per la competenza e scrupolosità colle quali svolge il suo difficile compito di fornitura di apparecchi di protesi agli invalidi di guerra”. Sei anni più tardi un altro trasferimento della sede aziendale segna un cambio di passo per Emilio e Giovanni, che si riflette anche nella ragione sociale, ponendo l’accento sul futuro: in via Giulio Romano 28/30 trova casa il laboratorio produttivo di “Emilio Guadagni & Figlio”, mentre in Corso Vittorio Emanuele 16 c’è il negozio. Grazie ad un’evoluzione della comunicazione aziendale, che quegli anni iniziavano ad imporre per potersi distinguere agli occhi dei clienti, Guadagni inizia a pensare ad un’identità d’immagine. Il logo del marchio registrato compare sullo sfondo quadrettato dei fogli da disegno tecnico, mostra una croce sanitaria sulla quale sono sovrapposti, a formare un rombo, la protesi di un braccio e un compasso. La tecnica al servizio dell’innovazione protesica è racchiusa anche nello slogan: “continuo progresso nel campo meccanico ortopedico”. La fiducia che Emilio e Giovanni riponevano nella propria attività era rafforzata dalle tante risposte positive di chi poteva tornare alla propria vita di sempre e aiutava a cercare i messaggi più efficaci rivolti a chi era privo di autonomia, con sfoggio di punti esclamativi e promesse concrete.
Un appunto per una brochure aziendale.
Come si vede anche Mantova era parte integrante della narrazione: la città, in posizione geografica evidentemente strategica, non era solo un riferimento da ribadire per essere individuati in un paese che anche grazie ad eccellenze artigiane si stava ricostruendo dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma permetteva all’azienda di mettersi in connessione con mutilati e malati di più regioni, specialmente nel Nord Italia. I prodotti, costruiti su misura con rigore e precisi adattamenti, andavano misurati con attenzione e successivamente testati. La Emilio Guadagni & Figlio aveva costruito negli anni una rete di sedi di appoggio e rappresentanza, per intercettare un pubblico più ampio in orari e giorni precisi: era a Brescia, Cremona, Piacenza, Ferrara e a Milano, con la ditta Rapetti sas di Foro Bonaparte 74 come rappresentante unico.
Nel frattempo, la convenzione stipulata con l’ONIG era una voce sempre più importante del bilancio aziendale, e pure con estrema soddisfazione delle parti. Il “pieno gradimento degli invalidi assistiti per professionalità, regolarità e sollecitudine” era una stella brillante appuntata al petto di quegli artigiani solerti, per i quali la cura della persona e la risoluzione di problemi non erano solo materia quotidiana, ma grazie all’esperienza erano diventate possibili anche a distanza e, grazie all’esperienza, con sempre meno prove. Un bel risparmio di tempo e soldi per l’Opera Nazionale, che non mancava di aggiornare la ditta circa i risultati raccolti nel monitoraggio dei pazienti, esaltando la “perfezione tecnica ed estetica molto gradita agli invalidi” che tornavano con successo alle loro attività lavorative. Tra il 1947 e il 1949, il marchio Guadagni compariva su duemila protesi, di cui 1588 collaudate con successo. Se ne vedeva quindi una larga presenza nel tessuto sociale, la minoranza dei mutilati trovava nell’ONIG e nell’Anmig un’attiva e costruttiva collaborazione. Il loro reintegro restava tuttavia un tema molto delicato, insieme alla sensibilizzazione dei cittadini e dei datori di lavoro. Per questo motivo la densa corrispondenza postale con i loro presidenti e segretari delle diverse sezioni territoriali, che la famiglia Guadagni ha conservato con cura e orgoglio, è il segno più tangibile di quell’impegno e del sentimento di soddisfazione e “simpatia” che i mutilati italiani volevano comunicare a chi con tanta dedizione era capace di restituire loro non solo una gamba o un braccio, ma soprattutto normalità, possibilità e dignità che la vita (o la malattia) aveva tolto loro.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivano altri riconoscimenti per l’officina Guadagni: tra i tanti, spiccano l’adesione all’Associazione Nazionale Produttori Apparecchi Ortopedici (con sede a Roma) e la collaborazione con le ricerche del Centro Nazionale Studi sperimentali “V.Putti” della facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna. Emilio Guadagni e Gianni Baccarini, allora presidente dell’Opera Nazionale Invalidi di Guerra, firmano nell’aprile 1939 il testo della convenzione con rinnovo annuale che avrebbe gettato da lì in poi le basi di una stretta collaborazione volta alla “fornitura degli apparecchi ortopedici e delle protesi occorrenti ai mutilati e storpi di guerra della Provincia di Mantova, i quali ne siano abbisognevoli ad esclusivo giudizio dei fiduciari dell’Opera stessa”. Diciassette articoli mettono nero su bianco le regole dell’accordo: la rappresentanza locale dell’ONIG si sarebbe occupata degli aspetti amministrativi e del controllo del servizio protesico, dalle spedizioni al collaudo, mentre l’Officina Guadagni si impegnava a fornire gli apparecchi in tempi rapidi, dopo due sedute con i mutilati e in un massimo di 40 giorni per le protesi di coscia, gamba, braccio e avambraccio, in 50 giorni e tre sedute per apparecchi per disarticolazione di coscia e deformità, in 20 giorni per le calzature. Era la stessa ditta a dover trattenere e conservare – in un archivio che in poco tempo sarebbe diventato particolarmente vasto – forme e modelli per la confezione delle scarpe ortopediche di ogni mutilato. La convenzione fissava anche gli anni di garanzia di ogni dispositivo (di media quattro o sei), prevedendo anche eventuali valutazioni rispetto all’uso, all’incuria o al danneggiamento da parte dei mutilati. Su richiesta di una delle parti le tariffe sarebbero state rivedute alla fine di ogni anno, mentre per i lavori non contemplati nell’accordo era previsto un calcolo ad hoc.
La produzione targata Guadagni componeva all’epoca già un catalogo ben strutturato di soluzioni protesiche in cuoio, legno e leghe leggere per casi di amputazione di arti superiori e inferiori, tutori con appoggio ischiatico e tibiali per fratture, poliomieliti, osteomieliti, paralisi, anchilosi tibio tarsiche, apparecchi di celluloide per coxiti, lussazioni congenite, sinoviti, corsetti in tessuto, acciaio e celluloide per spondiliti e forme artritiche, calzature ortopediche per qualsiasi deformità e l’apparecchio a stantuffo per piede ciondolante, il primo brevetto della Guadagni.
Operai al lavoro nella sede di via Giulio Romano a Mantova.