Cose da non chiedere

Il 21 maggio ha esordito in prima serata su Real Time, un programma chiamato “cose da non chiedere”. In questo programma sono state raccolte delle domande che la gente comune farebbe a gruppi di persone usualmente considerate diverse e tra queste non potevano mancare quelle con disabilità. Per questo articolo, su suggerimento di una persona di cui mi fido ciecamente, sono stato invitato a rispondere personalmente a queste tre domande. Non ci resta che iniziare.

La tua sedia a rotelle: la odi o la ami?

Questa non è una domanda, questa è la domanda. Penso che dietro a questo quesito ci possa essere una vita intera o quasi. Quasi perché nel mio caso, ad esempio, la sedia a rotelle è subentrata nella mia vita quando avevo circa tredici anni. Alcuni scelgono il motorino a quell’età, altri carrozzina. È pur sempre un mezzo di locomozione no? Ma tornando alla domanda, io la mia l’ho friendzonata. Ebbene sì, sono ormai diversi anni che mi sta letteralmente appiccicata al culo (non ne ne vogliate, ma usare un sinonimo avrebbe snaturato l’intera frase), ma non l’ho mai amata veramente. Ovviamente perché sono uno stronzo, come tutti gli uomini. Però, adesso come adesso, siamo diventati buoni amici. Ogni tanto la mando a quel paese, ma faccio anche alla svelta a farci la pace. E non si può dire nemmeno che la odi. Per come la penso io quello è un sentimento che porta solo guai.

Ti da fastidio se si chinano per parlare con te?

Tendenzialmente la mia voce è bassa. Un po’ perché non urlo quasi mai, e un po’ perché i miei polmoni, beh fanno quello che possono; quindi se si chinano, magari mi sentono meglio e questo di certo non mi da fastidio. Spesso mi capita infatti, che nei ristoranti o nei bar debba ripetere l’ordinazione. Ma vabbè, non succede solo a me e poi non é mai accaduto che mi portassero un cappuccio al posto di una cannuccia ad esempio, quindi nessun problema. Ma se volessi parlare di cose che mi infastidiscono, ascoltando alcune risposte che hanno dato altri all’interno del programma, mi è venuto in mente che anche a me è capitato di essere stato toccato da degli sconosciuti (testa o spalle meglio specificare), senza un apparente motivo. Non recentemente però. Questo fatto mi faceva star lì fermo a pensare che magari conoscessi quella persona, ma che al momento non mi ricordassi di lei. Mi sbagliavo perché mi è successo anche altre volte e quasi sempre erano sconosciuti; questo mi ha a portato a chiedermi il motivo di tutto ciò. Io mi sono immaginato che una volta arrivati a casa questi individui dicano: “Perfetto. Nella giornata di oggi sono riuscito a toccare sei teste di disabile. Ancora una domattina e vinco un orsacchiotto gigante”. A questo punto potrebbe essere plausibile no? Ah dimenticavo: fanno eccezione le belle ragazze (non succede quasi mai). Quelle possono toccare quanto vogliono. Nemmeno l’ombra di un fastidio.

Cosa invidi a chi può camminare?

Permettetemi di fare nuovamente il moralista. Come è successo prima per l’odiare, non amo molto nemmeno il termine invidiare, o comunque l’invidia stessa. È arrivato il nuovo redentore su quattro ruote, starete pensando. No, da quello ci sono piuttosto lontano, però penso che l’invidia nasconda sempre insoddisfazione; quella l’ho provata per diversi anni e credetemi, toglie la bellezza da ogni cosa. Anche da dove è presente in abbondanza ed è per questo che cerco di evitarla in ogni modo. Quindi trasformo la domanda in “cosa mi manca di più rispetto a chi può camminare”. E la risposta è: a volte sento la mancanza dell’indipendenza di fare una cosa, anche insensata da solo, senza chiedere niente a nessuno. Che ne so, arrivare da Guadagni, entrare, salutare Marcello e tornare a casa. Per quale motivo? Beh così, semplicemente perché mi andava di farlo e posso farlo. Non è forse anche questo che significa la parola libertà?

Mattia Mutti

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