Restano

Ci sono delle volte in cui sembra di averla davvero una macchina del tempo. Senti un profumo, ascolti una canzone, osservi un’immagine o un oggetto e subito vieni catapultato in un particolare momento della vita passata. È come essere ancora lì, anche se sono passati sedici anni.
Mi succede quando il mio sguardo si sofferma sul diploma appeso alla parete della mia camera e, in un istante, mi ritrovo nuovamente in quella classe della sezione D del Liceo Scientifico.
Ricordo bene il mio primo giorno.
Era settembre del 2005 e stavo compiendo il primo passo di un percorso che, nella migliore delle ipotesi, sarebbe dovuto durare cinque lunghissimi anni. Cinque anni possono sembrare un’eternità quando sei all’inizio di un viaggio, ma in quel momento era l’ultimo dei miei pensieri. Volevo solo “sopravvivere” al primo giorno.
Ricordo ancora l’agitazione, seduto nei primi banchi a destra della cattedra. C’era un gran chiacchiericcio in classe. Tutti parlavano tra loro, tranne me. Eravamo solo in due a provenire dalla stessa scuola media e non conoscevamo nessun altro. Per gli altri nostri nuovi compagni invece non era così: a gruppetti già si conoscevano.
È stampata nella mia mente la fatica e l’imbarazzo che provavo anche solo per girarmi a osservarli. Mi sentivo come se tutte quelle persone fossero ognuno un mondo alieno a sé stante e io l’esploratore, impaurito dalle vite sconosciute che avrei potuto incontrare. Tutta la sicurezza e la spigliatezza acquisita nei tre anni delle medie, si era volatilizzata improvvisamente. Dovevo ripartire da zero, sia con i compagni che con gli insegnanti.
Anche in altri articoli ho spiegato quanto siano stati complessi i cinque anni delle superiori, sotto molti punti di vista. Furono anni di cambiamento per me e per molto tempo ho provato del rimorso pensando a quel periodo.
Il rimorso del “poteva essere diverso”; io potevo essere diverso e di conseguenza vivere un’adolescenza differente, migliore. Però quella dannata timidezza che mi portavo addosso fin dall’infanzia, ricomparve prepotente proprio in quel momento. Solo anni più tardi mi resi conto che quell’imbarazzo che avevo nelle relazioni con gli altri, rappresentava la conseguenza diretta di un circolo vizioso generato dalla paura.

Ricordare significa letteralmente “riportare al cuore”.

Tornare al cuore ovvero all’essenza profonda delle cose. Sono le emozioni che stanno alla base degli eventi. Tacendo il mio giudizio sul passato, quello che resta di quei cinque anni di vita, nel bene e nel male, sono proprio le emozioni.

  • Restano l’ansia e le mani sudate di quando l’insegnante sceglieva chi interrogare.
  • Restano il sollievo e l’euforia di non essere chiamati, quando sapevi di non essere poi così preparato, oppure il fastidio quando ti sentivi pronto e dovevi aspettare ancora per la prossima interrogazione.
  • Resta quella sensazione, quando ti offrivi come volontario e ti sembrava di sentire l’acclamazione silenziosa dei compagni perché ne stavi salvando altri che probabilmente non avevano studiato abbastanza.
  • Restano la gioia e la soddisfazione davanti ad un bel voto e la tristezza e la frustrazione davanti ad uno brutto. Restano le risate di quando, in classe, accadeva qualcosa di divertente.
  • Restano le battute e i litigi con i professori.
  • Resta la sonnolenza del lunedì mattina che sembrava non andarsene mai.
  • Restano le gite e quando, tutti insieme in una stanza d’albergo, ci siamo passati l’un l’altro una bottiglia di vino rosso come se fosse il calumet della pace. Con un sorso ciascuno abbiamo suggellato quell’istante, con la gioia e il brivido di fare una cosa un po’ proibita, ma di farla comunque insieme.
  • Restano certi amici di quella classe che il passare del tempo non ha allontanato e che, nonostante tutto, sono ancora con me. Ancora qui, insieme, a raccontarci dell’oggi e a ricordare di ieri.

Ognuno di noi, nella sua vita, si porta con sé uno zaino che cela al suo interno tutti i propri ricordi.

Esattamente come quello che si usa a scuola. Giorno dopo giorno lo zaino si riempie e il suo peso cambia. Questo perché ogni ricordo, contenuto al suo interno, ha il proprio. Da quello più dolce e gioioso, leggero da portare, a quello più doloroso e triste, pesante come un macigno.
Ecco perché alcune persone fanno una fatica immensa a trasportare il proprio zaino. È talmente pesante da farli sprofondare nel terreno e fare un altro passo per andare avanti diventa troppo complicato e provoca un’immensa sofferenza. Vorrebbero liberarsi di quel peso e recidere quelle cinghie che lo tengono legato a loro. Così il problema sarebbe risolto.
Purtroppo questo non è possibile perché siamo inscindibili dal nostro zaino. Fa parte di noi e noi facciamo parte di lui. Però abbiamo la possibilità di aprirlo e di fare i conti con il suo contenuto se lo vogliamo.
Sarà dura farlo e potremmo piangere perché sarà come rivivere, ancora una volta, tutta quella sofferenza e la tentazione di richiuderlo immediatamente sarà fortissima. Ma se resisteremo cambierà la nostra comprensione. Ci renderemo conto che non siamo solo un corpo fisico con un carattere e una personalità, come siamo abituati a pensare, ma anche l’insieme di tutti gli eventi che ci sono capitati, tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto e tutte le persone con cui ci siamo relazionati e abbiamo interagito.
Ecco che allora, con un sorriso nostalgico, potremo dire a noi stessi:

“Questo è ciò che sono e accetto tutto il mio passato esattamente per come è andato”.

Istantaneamente il nostro zaino si farà molto leggero e non ci impedirà più di continuare nel nostro cammino.
Adesso il mio pensiero va ai miei fratelli che, proprio quest’anno, sono entrambi arrivati verso la conclusione di un percorso e si stanno affacciando verso qualcosa di nuovo.
Mio fratello, all’ultimo anno di superiori, con lo sguardo già rivolto all’università e mia sorella all’ultimo anno di medie che, destreggiandosi tra molteplici possibilità, si prepara, esattamente come me sedici anni fa, a vivere il suo primo giorno di scuola superiore.
Entrambi si portano appresso il loro di zaino. Fino a qui l’hanno riempito, ma c’è ancora tanto spazio per aggiungerci un’infinità di nuovi ricordi.
Non voglio fare qui il fratello maggiore che insegna qualcosa a quelli più giovani perché so benissimo che, in cuor loro, lo sanno meglio di me. Sanno che talvolta, alla fine di un viaggio importante, l’amarezza che si prova ha un retrogusto dolce e non è assolutamente vero che ciò che è passato non può tornare più. Sarà sufficiente aprire lo zaino dei ricordi e riportare il suo contenuto al cuore.
Quando un sorriso o una lacrima di nostalgia farà la sua comparsa, avremo la certezza assoluta che i nostri ricordi saranno sempre con noi e non ci abbandoneranno mai.

Mattia Mutti