Di certo sono abituato a stare in casa. Avere una disabilità ti porta, per forza di cose, a passare tanto tempo a casa tua. Sto bene nel mio ambiente, anche se, con i fatti degli ultimi giorni, il clima si è fatto più pesante. Davanti alla mia finestra guardo fuori e penso. Penso che sia già una bella cosa che ci sia il sole. L’umore migliora nel vedere la luce e i colori della natura. Non mi sembra vero che là fuori ci sia un virus invisibile che contagia, che uccide. Perché in quel piccolissimo scorcio di mondo che vedo dalla mia finestra, sembra tutto così tranquillo e sereno. Si sentono dei rumori provenire dall’esterno, come quello dei pochi veicoli sulla strada, il tubare delle tortore e il cinguettio degli uccellini. Non sono suoni caotici, ma tranquilli. I suoni di sempre, quelli a cui sono da tempo abituato. Quelli che, a malapena, noto ancora proprio per questo motivo. Non ci sono persone che camminano fuori eppure quel pezzo di giardino e di siepe pullula di vita, nonostante io a malapena la scorga. Piccole forme di vita che incuranti dei problemi degli esseri umani, continuano il loro andirivieni. Continuano la loro vita giorno, dopo giorno, dopo giorno, senza sosta. Si uniscono all’eterna danza delle molecole, degli atomi, dell’energia. A quei minuscoli elettroni che io non posso vedere, ma che esistono e che nel loro comparire e scomparire attorno al proprio nucleo, mantengono silenziosamente in piedi tutto ciò che noi possiamo vedere, sentire, toccare. Osservando quel ritaglio di presente, qualcosa mi suggerisce che in quell’istante non ci sia nulla fuori posto, non ci sia niente che non va. Anzi, tutto va e dove non è importante, ma si muove, si sposta, cambia. Tutto sembra uguale all’istante precedente, eppure volendo vedere di uguale non c’è proprio niente. È cambiato tutto, si è spostata anche la terra, anche se io non me ne sono accorto. Ma se io non possiedo la percezione per accorgermene, non vuol dire che non sia successo.
Sono sempre qui, di fronte alla mia finestra. Sto sempre osservando l’esterno. All’apparenza sono immobile, fermo. Eppure l’interno della mia mente non ne vuole proprio sapere di fermarsi e continua a elaborare pensieri. Penso alla paura. A quell’emozione così dilagante in questi giorni difficili. Penso al fatto che la paura non appartenga mai al presente, ma sempre e solo al futuro. Ho paura di qualcosa che succederà o che potrebbe succedere. Non in questo istante, ma nell’istante immediatamente successivo. Ho paura di contagiarmi, di ammalarmi, di morire. Oppure ho paura della paura stessa, ho paura di provare paura, ho paura di diventare paura. E se sono paura non sono più me stesso. Forse, in certi frangenti, la vita può diventare come un cane rabbioso che ti si presenta sulla tua strada. Ti mostra le zanne, ringhia e abbaia. Se provi a scappare ti insegue, ma, come ci hanno detto tante volte, ti attacca solo se ne hai paura. Se lo affronti e procedi dritto senza pensarci troppo, ma solo quel tanto che basta, torna mansueto e se ne va lasciandoti in pace.
Pensando a questo, poso lo sguardo sulla mia cagnolina, che di rabbioso proprio non ha nulla. Sta dormendo accoccolata sul mio divano. Forse bisognerebbe essere un po’ come lei: indifferenti alle paure del futuro e presenti. Lei è ancorata al momento presente e alle sensazioni che riceve dall’istante. Ho fame, ho sonno, ho sete, sono triste perché ancora non c’è nessuno che mi coccola. Essere “presente”, diventare il presente; forse potrebbe essere questa la via per sentirsi più completi, in un mondo che sembra faccia di tutto, alle volte, per imprigionarti nell’insoddisfazione, nella solitudine, nell’angoscia.
Torno a guardare fuori. Quel piccolo paesaggio così rassicurante nella sua semplicità. Mi soffermo sulla pianta spoglia di melograno nel mio giardino. Tra un ramo e l’altro ci sono tantissimi fili di ragnatela. Sembra che colleghino tutti i rami in un meraviglioso intreccio. La luce del sole, colpendo i fili, li fa brillare e tutta la pianta sembra adornata di sottilissime collane d’argento. Sorrido tra me e penso a quel ragno, probabilmente inconsapevole di aver creato uno spettacolo così bello nel mandare avanti la sua semplice esistenza.
Penso a tutti quegli uomini che hanno passato vite intere a cercare Dio. In testi e luoghi sacri, in reliquie, in viaggi lunghissimi quando bastava solamente fermarsi un momento. Dio lo puoi trovare anche nel tuo giardino, a casa tua in quarantena. Lo puoi trovare sia dentro che fuori di te. Nel battito del tuo cuore, nella crescita delle piante, nel cambio delle stagioni, nel moto instancabile dei pianeti attorno al sole, nei frutti degli alberi che senza che nessuno abbia detto loro come fare, producono delle vitamine essenziali alla nostra sopravvivenza e a quella degli animali. Lo puoi trovare ovunque perché non c’è un posto in cui non ci sia. Se ti sposti in giro per il mondo acquisterà nomi diversi, lettere e suoni diversi con cui ci si può riferire a lui. Ma la sua essenza non cambia. È sempre la stessa. Per tutti e per sempre.
Mattia Mutti